DAL 28 SETTEMBRE AL 30 NOVEMBRE 2024 SPAZIO 21 – VIA SAN FEREOLO, 24
INAUGURAZIONE SABATO 28 SETTEMBRE 2024 – ORE 18:00
Credo fortemente nelle domande, meno nelle risposte.
L’arte, quella migliore, non spiega. Chiede e sospende.
Pensare ad una mostra interamente dedicata al BIANCO, il più divisivo e ideologicamente impegnativo tra tutti i colori, ci porta anche a riflettere su questo tema.
In tutte le tradizioni il BIANCO riveste una simbologia potente, capace di condizionare la vita delle persone fin dai tempi antichi; tra luce e oscurità, energia buona e cattiva, candore o tenebra, ad ogni latitudine i miti locomotori che hanno orientato i popoli si sono serviti di questo colore, spesso opposto al nero, per tracciare linee cardine di pensiero, a volte troppo vincolanti.
Nel Taoismo cinese, fondato nel VII secolo a.C. da Lao Tzu, lo Yin e Yang sono gli opposti che consentono di mantenere l’equilibrio del mondo, dove lo Yang legato al sole, positivo e caldo, è associato al mondo maschile e al colore bianco.
Platone, nel mito della Biga alata del Fedro attribuisce al cavallo BIANCO i valori migliori, quelli capaci di elevare l’uomo a stati superiori di idealismo, mentre il cavallo nero, che avrà la meglio su quello BIANCO, appartiene al mondo terreno delle cose materiali, legate ai sensi.
Nelle rappresentazioni liturgiche, all’interno delle chiese cattoliche, la Madonna, vestita di BIANCO, è posta al centro della scena come vertice di purezza, di grazia e di nuova vita.
Il BIANCO è purificazione, luce, pace, libertà, nuovo inizio, mentre il nero è quasi sempre associato alle forze negative, ma necessarie.
I samurai in Giappone, prima di autoinfliggersi la morte indossavano un kimono BIANCO. Questo gesto estremo, praticato spesso nei templi buddisti, era per loro l’ultimo atto d’onore prima di lasciare la vita terrena verso una nuova materia. Il lutto nella filosofia buddista è rappresentato dal colore BIANCO, come viatico di purificazione prima della reincarnazione.
Nel Togo le persone colpite da un lutto hanno l’usanza di tracciarsi una linea BIANCA sulla fronte, mentre nel Camerun, le donne che perdono il marito si dipingono le gambe di BIANCO.
Nella tragedia e nel lutto, rimane per loro salda l’idea metamorfica di rinnovamento, sia per il predestinato che per chi rimane.
La bandiera BIANCA o un semplice fazzoletto BIANCO hanno il potere di porre fine ad un conflitto.
Le convenzioni planetarie che il genere umano ha tracciato utilizzando il BIANCO sono infinite, impossibile citarle tutte.
La mostra però ha la pretesa di emancipare il BIANCO, di liberarlo dalle usanze, dalle simbologie e dalle tradizioni che lo hanno accompagnato fino ad oggi.
L’intento dell’esposizione è quello di valorizzare il BIANCO come tabula creativa, che permetta agli artisti e alla loro espressività di manifestarsi. Il BIANCO è il più ricettivo e ospitale tra tutti i colori, capace di restituire un’elevata luminosità pur non avendo tinta, pur risultando acromatico.
Così, il foglio BIANCO per lo scrittore, la tela vergine del pittore, il blocco di marmo dello scultore, il rigo per il musicista o la carta fotografica, fungono da campi vuoti per nuovi e potenziali scambi comunicativi.
Letta in questa direzione, la mostra si può comprendere meglio. Non la scelta di un ambito specifico di ricerca, ma l’evidente diversità delle molte strade percorribili e indagabili attraverso il BIANCO.
Anche l’estetica architettonica dello spazio, fatta di plinti, moduli rettangolari, espositori rigorosamente BIANCHI, pronti a ospitare e a dialogare con le opere degli artisti, agisce da amplificatore e favorisce il progetto.
Così il BIANCO si incammina verso una nuova direzione non deterministica, alla scoperta delle singole ricerche, delle passioni individuali, fungendo semplicemente da colore ospitante.
Nello specifico, la mostra presenta tre momenti differenti: una quadreria BIANCA, con lavori su carta, posizionata sulla parete di fondo dell’ex fonderia, nella quale vengono presentate le opere di 11 artisti. Un secondo momento è dedicato alla proiezione di un capolavoro della musica internazionale, Amore di Ryuchi Sakamoto, mentre il corpo centrale della mostra si srotola per tutto lo spazio con i lavori di venti artisti molto diversi tra loro, per tipologia, psicologia, età e mezzo espressivo.
Un piccolo viaggio all’interno del colore BIANCO, che pur emancipato dalla schiavitù delle tradizioni, sembra conservare un’idea di bellezza e positività, oggi più che mai necessaria, per superare l’impasse di una società divenuta troppo speculativa.
Pierpaolo Curti